Nelle giornate del World Photography Festival, che ha raccolto alla Somerset House di Londra la mostra coi i vincitori degli award, ma anche tutta una serie di iniziative di cultura fotografica, abbiamo potuto incontrare due dei giudici che hanno fatto parte della giuria della sezione Fotogiornalismo e Documentari. Si tratta di due donne Elizabeth Biondi e Rena Effendi. La prima è tedesca di nascita ma è ormai quasi statunitense di adozione: occupa dal 1996 la carica di Visuals Editor preso The New Yorker, uno dei più importanti periodici d'oltreoceano.
Rena Effendi è invece nata nel 1977 in Azerbaijan e ha cominciato a lavorare come fotografa nel 2001. È salita agli onori della cronaca grazie al suo lavoro di più di sei anni, pubblicato nel 2009, "Pipe Dreams: A Chronicle of Lives along the Pipeline". Rena ha seguito l'oleodotto che va dalla Georgia alla Turchia per tutti i 1700 Km del suo percorso, documentando gli effetti di questo tipo di struttura sulla vita quotidiana della gente. Il tema degli effetti dell'industria del petrolio è uno dei motivi ricorrenti dei lavori di Rena, che ha cominciato la sua carriera proprio documentando gli effetti negativi delle estrazioni nel suo paese d'origine. Attualmente pubblica sulle più importanti riviste mondiali e lavora tutt'ora utilizzando solo la pellicola.
Sono molti i temi interessanti che sono stati affrontati nell'incontro ristretto tra alcuni giornalisti e le due giurate. Innanzitutto è emerso come la qualità delle foto sottoposte a giudizio da parte dei professionisti sia stata in generale abbastanza alta: moltissimi sono stati gli scatti buoni, anche se la piccola percentuale di scatti eccellenti non ha faticato ad emergere dalla massa, distinguendosi in modo abbastanza netto.
Oltre alla qualità della foto una delle principali discriminanti nel passaggio del giudizio da buono a eccezionale è la capacità del fotografo con i suoi scatti di raccontare una storia: non è sufficiente fare buone inquadrature e corrette esposizioni, per fare un lavoro ottimo è necessario avere qualcosa da dire, da comunicare. L'espandersi della base di utenti in grado di riprendere immagini, pensiamo ad esempio alla diffusione degli scatti effettuati coi cellulari nelle notizie d'ultimora, getta una sfida importante per i professionisti: è necessario saper trovare un proprio stile, non è più sufficiente essere al posto giusto nel momento giusto.
Inoltre a fronte di un più alto numero di persone in grado di scattare, è in diminuzione il numero degli acquirenti di immagini e anche il valore monetario dato alle stesse: le due giurate in questo ambito erano concordi nel non lasciarsi andare al catastrofismo, sottolineando, giustamente, come ogni decade abbia la sua sfida, dicendosi fiduciose che anche questa situazione critica troverà una soluzione.
© Balazs Gardi _ courtesy Sony World Photography Awards 2011/ basetrack.org
Restando sul tema delle nuove tecnologie e dei nuovi mezzi per riprendere immagini le due giudici non chiudono la porta ai cellulari, anzi vedono nella possibilità di upload diretto e di condivisione immediata degli scatti una svolta davvero interessante che porta a un nuovo modo di concepire la fotografia. L'esempio più lampante è il reportage che si è piazzato al terzo posto nella sezione Attualità, un documentario dall'Afghanistan realizzato interamente con iPhone. Nel prossimo pezzo da Londra parleremo invece del nostro incontro con Bruce Davidson, che è stato insignito del premio alla carriera.