In prima approssimazione il sensore ha lo stesso compito di coni e bastoncelli presenti nel nostro occhio: è un trasduttore che rileva la quantità di fotoni che lo colpiscono e genera un segnale elettrico di una determinata intensità; oltre a questo, il sensore opera una lettura delle componenti cromatiche del fascio luminoso in modo tale da restituire correttamente i diversi colori.
Più nel dettaglio, quanto spiegato sopra è possibile grazie ad elementi denominati fotodiodi, che ricoprono quasi interamente la superficie del sensore. I fotodiodi sono caratterizzati da dimensioni complessive di una decina di micron circa: in questo spazio, oltre alla parte "attiva" del fotodiodo è compresa anche una porzione di elettronica che non partecipa al processo di trasduzione. Lo spazio occupato da questa elettronica è denominato "fattore di riempimento". Si può intuire come il fattore di riempimento sia un limite nell’acquisizione dell’immagine proprio della tecnica digitale. La pellicola, infatti, essendo una soluzione chimica continua non presenta questo tipo di problema.
Affinché la resa dinamica a livello fotografico risulti ottimale, sarebbe opportuno utilizzare fotodiodi con una ampia (sempre nell'ordine dei micrometri) superficie sensibile in modo tale che ogni singolo fotodiodo possa raccogliere un maggior numero di informazioni (fotoni). All'atto di progettazione e costruzione di una fotocamera digitale ultracompatta, dove lo spazio disponibile è ridotto, sarà quindi necessario operare una scelta di compromesso a parità di dimensione del sensore: scegliere un numero minore di fotodiodi ad ampia superficie oppure, viceversa, scegliere fotodiodi con superificie ridotta in modo tale da poterne adottare in numero maggiore.
Tra il numero di fotodiodi presenti in un sensore e il numero di pixel che la macchina fotografica è in grado di produrre, non esiste alcuna sorta di correlazione diretta. In taluni casi un sensore è costituito da un numero inferiore di fotodiodi rispetto al numero di pixel con cui viene prodotta l'immagine: in questo caso le informazioni sono interpolate direttamente dal software della macchina fotografica. In altri casi, invece, accade che il numero di fotodiodi sia maggiore rispetto ai pixel dell'immagine: in questo caso alcuni fotodiodi sono destinati ad altri usi (come ad esempio analisi esposimetrica e di bilanciamento del bianco).
A livello concettuale si può pensare al sensore come ad una cassettiera senza cassetti sdraiata sul pavimento dove ogni vano rappresenta un fotodiodo e raccoglie i fotoni che vi cascano dentro. In un modello di questo tipo, tuttavia, non è possibile risalire ad alcuna informazione relativa al colore, dal momento che l'unica cosa che può essere misurata è la quantità di luce presente in ogni "vano". Al fine di ricostruire le informazioni cromatiche viene sovrapposta alla cassettiera una scacchiera colorata i cui quadri sono rosso, blu e verde.
La scacchiera, chiamata filtro di Bayer, è una pellicola semitrasparente che permette ad una sola componente colore di raggiungere il fotodiodo e di conseguenza il singolo fotodiodo potrà leggere l’intensità luminosa di un solo colore primario. L’intero spettro colore viene così ricostruito a posteriori via software facendo una stima sulla base dei fotodiodi adiacenti a quello considerato. I sensori che adottano questo sistema prendono il nome di sensori di bayer e rappresentano la stragrande maggioranza dei sensori presenti sul mercato.
Ogni pixel immagine è il risultato dell’interpolazione di almeno tre fotodiodi, uno per ogni colore primario. Tempo fa Sony ha progettato una variante del filtro di bayer sostituendo ad uno dei filtri verdi il colore Smeraldo Emerald, lo spazio colore che ne deriva passa da RGB ad RGBE.
Il motivo per il quale il 50% dei fotodiodi codifica per il verde mentre solo il 25% rispettivamente per il rosso e per il blu, deriva dal fatto che anche il nostro sistema visivo è in grado di distinguere un maggior numero di sfumature del verde piuttosto che degli altri colori.
I sensori chiamati Foveon si basano invece sul principio del film fotografico, grazie alla differente capacità di penetrazione delle frequenze: ogni fotodiodo è costruito a strati e può leggere tutte le componenti colore. Si può quindi avere un sensore con 12 milioni di fotodiodi, dispositi su tre strati da 4 milioni l'uno. L'immagine finale viene poi effettivamente formata, per interpolazione, da 12 megapixel, anche se a rigor di logica questa è divisa in realtà (guardando il sensore frontalmente) da una griglia di 4 megapixel.
I sensori si dividono in due grandi famiglie a seconda della tecnologia di produzione, i CCD (Charge Couplet Device) e gli APS (Active Pixel Sensor). Ai sistemi APS appartengono sensori che fanno uso di tecnologie CMOS o LBCAST JFET. La differenza di tecnologia tra CCD e APS porta anche a diversi modi di trasportare il segnale elettrico generato dai fotoni che colpiscono l'area sensibile. Quest'ultimo fatto è responsabile inoltre delle differenti caratteristiche dei due tipi di sensore.
I sensori CMOS hanno in generale alcuni vantaggi, tra cui un minor consumo energetico, dato anche dalla possibilità di integrare sullo stesso chip la circuiteria sia digitale sia analogica. Fino a qualche tempo fa i sensori CMOS erano destinati alle fotocamere più economiche (ad esempio equipaggiano tuttora la totalità dei telefonini), mentre i sensori CCD hanno visto un largo impiego su reflex e compatte. Eccezione fa Canon che ha sempre puntato, anche per i suoi prodotti di fascia alta, sui sensori basati su tecnologia CMOS. La tecnologia LBCAST JFET è stata invece lanciata dal produttore nipponico Nikon.