Uno scatto dal progetto "CHIMERE"
3- I temi politici e antropologici sono un leitmotiv dei tuoi lavori: lo sono stati fin da subito o rappresentano un'evoluzione della tua ricerca fotografica? Quali sono le pietre miliari della tua carriera?
Faccio fotografie perché voglio capire, cammino per chilometri durante i miei viaggi e mi spendo emotivamente per comprendere le storie che scelgo di raccontare. Per me non c'è viaggio che valga la pena di fare se non a queste due condizioni. Non ho mai amato fare foto tanto per farle e altrettanto, non ho mai viaggiato se non con lo scopo di imparare da tutto quello che c'è là fuori. Dunque il primo obiettivo è sempre approfondire l'approccio antropologico del gesto fotografico e tentare analisi capaci di affrontare le tematiche socio-politiche della società.
Credo che "FEVER - THE AWAKENING OF EUROPEAN FASCISM" rappresenti senz'altro il primo capitolo importante da quando ho deciso che la fotografia divenisse il mio linguaggio espressivo.
Un altro progetto che sto tutt'ora affrontando, un approfondimento sulla condizione della società Haitiana. In questo mio lavoro a lungo termine sto tentando di restituire l'anima di un popolo con una storia davvero difficile. Ho raccontato fino ad ora l'aspetto religioso, entrando nella ritualità del Voodoo, e ho raccontato il fenomeno delle gang che affligge le zone più povere dell'isola. Questo secondo capitolo, chiamato "CHIMERE - Gangs in Port-au-Prince", rappresenta un traguardo importante per quanto riguarda le mie ricerche in quanto, non esistono approfondimenti fotografici precedenti al mio su questo argomento.
4- Ci siamo conosciuti grazie ai premi che hai vinto: dopo un primo contatto ai Sony World Photography Awards ora il riconoscimento ai Grants for Editorial Photography 2012 di Getty Images. Partiamo dal lavoro premiato a Londra, svelaci i retroscena.
In quell'occasione ho avuto la fortuna di ricevere un bellissimo riconoscimento nella sezione ritratti per un mio reportage sui componenti delle gang in Nicaragua. Realizzai quel progetto all'interno di alcune carceri minorili e l'esperienza fu profonda. Ottenni l'ingresso all'interno degli istituti penitenziari grazie alla collaborazione di una ONG italiana dal nome "Terre des Hommes" e riuscii, grazie al loro supporto, a realizzare un documento fotografico aderendo alla difficilissima tradizione ritrattistica. Anche in questa occasione feci della relazione e quindi della fiducia lo strumento necessario per restituire ritratti capaci di raccontare.
Uno degli scatti nelle carceri del Nicaragua
Trascorsi diversi giorni nelle carceri Nicaraguensi, in principio senza macchina fotografica e per poche ore al mattino, e lo feci per permettere ai detenuti minorenni di visualizzarmi, sì come un ospite osservatore ma non come un estraneo con l'intento di prendere qualcosa per portarselo via. Il tentativo fu quello di rendere il gesto fotografico naturale e senza che potesse farli percepire come animali in gabbia. Dunque realizzai quelle foto soltanto negli ultimi giorni trascorsi in ciascuna delle carceri. Il tempo trascorso senza la mia macchina fotografica rappresenta la chiave per accorciare le distanze e procurarmi la possibilità di dimostrare il rispetto che gli dovevo.