Andò molto meglio, in termini di fama e soldi, a Gabriell Lippmann, fisico francese dai classici baffoni ottocenteschi, ricordato per il modo tutto suo di ottenere delle fotografie a colori. Lipmann riuscì ad ottenere una lastra fotografica a colori con un metodo decisamente tecnico e rivoluzionario. Produsse una lastra fotografica a colori spalmata di un'emulsione sensibile, dietro la quale pose un'altra lastra con mercurio liquido, per creare uno specchio.
Basandosi esclusivamente sui principi di interferenza della lunghezza d'onda, la luce che rimbalzava indietro attraverso la lastra andava in qualche modo ad impressionarla, con una fedeltà di colore notevole, pur con dei limiti. La lastra infatti andava illuminata e per giunta vista solo da punti di vista molto ridotti. L'esposizione poteva durare minuti ma anche ore, inoltre i grani dell'emulsione dovevano essere veramente piccoli per essere fedeli ma erano di conseguenza anche molto poco sensibili (non dimentichiamoci che siamo nella seconda metà dell'800).
Due i soggetti preferiti da Monsieur Lippmann: i giardini di Versailles e le nature morte (quasi sempre vasi di fiori). Una scelta che può essere vista o come espressione di una passione personale per questi soggetti (versione romantica) oppure per la natura immobile dei soggetti stessi, perfetti per le pose lunghe (versione pragmatica).
La tecnica però era incredibile e non alla portata di molti contemporanei seppur ingegnosi; la genialità passava per l'intuizione degli effetti di interferenza e non per nulla prese il Nobel per la Fisica nel 1908 proprio per questi studi. Paradossi della storia: il metodo, pur geniale, non fu mai sfruttato commercialmente. Rimase in pratica un esercizio, ma su quegli stessi studi di basano oggi i principi degli ologrammi, nati qualche decina di anni dopo.