Auguste e Louis Lumière sono fratelli davvero molto famosi, sebbene il loro nome sia associato alla nascita del cinematografo, avvenuta nel 1904. Di fronte ad un'invenzione così importante passa quasi in secondo piano un'altra invenzione, che ricade proprio nel settore della fotografia a colori. L'Autochrome Lumière fu il primo fra tutti i processi fotografici a colori ad essere non solo realizzabile a livello commerciale, ma anche utilizzato da una clientela davvero vasta.
Beffardo è anche il destino che, a fronte di scienziati in grado di utilizzare i composti più complessi e tossici, tanto da morirne in alcuni casi, a fare da base al tutto nel caso dell'Autochrome Lumière è... la patata. Sotto forma di farina, chiamata anche fecola per chi si destreggia un po' ai fornelli o frequenta i supermercati, la semplice patata è il segreto alla base di questa tecnica veramente di successo, che andremo a spiegare semplificando alcuni passaggi.
La fecola di patate è di fatto una farina, prodotto della macinazione della patata essiccata. I singoli grani sono davvero molto piccoli e si prestano bene ad essere "spalmati" sotto forma di strato molto sottile. In base a questa semplice considerazione e prendendo per buona la teoria tricromatica, ai fratelli Lumière venne in mente non si sa come di colorare tre mucchietti di fecola usando i colori primari del tempo: arancione, verde e violetto.
L'idea era quella di "filtrare" in qualche maniera la luce facendola passare attraverso lo strato di fecola (miscelata nei tre colori in parti uguali) steso su una lastra di vetro, resa appiccicosa per non fare scivolare via la fecola stessa. A questo punto si dava una leggera mano di nerofumo per colmare gli spazi fra i granelli di fecola, per poi coprire il tutto con un altro strato di composto protettivo anti umidità. Sopra a tutto, veniva applicata una normale emulsione fotografica di quelle usate per il bianco e nero, contenente argento.
Finora abbiamo parlato solo di preparazione, ora passiamo alla pratica. La cosa importante è che a ricevere la luce era, in un primo passaggio, il lato del substrato di vetro. Attraversandolo, la luce incontrava subito lo strato di granelli di fecola colorati, proseguendo il proprio cammino verso l'elemento sensibile vero e proprio. Si otteneva in questo caso un'immagine negativa a colori complementari, ancora lontana dall'essere una fotografia a colori o a qualcosa che gli si avvicinava. Dopo aver rimosso le zone nere dall'emulsione la lastra veniva esposta di nuovo ma dall'altro lato, andando a impressionare ulteriormente l'emulsione. Sviluppando di nuovo si otteneva un'immagine effettivamente a colori, per quanto non della fedeltà a cui siamo abituati noi oggi.
Se osservata da vicino l'immagine era di fatto costituita da moltissimi puntini colorati, ovviamente i tre primari verde, violetto e arancione; per sintesi additiva e ad una distanza normale, l'occhio umano era ed è in grado di elaborare l'informazione sotto forma di fotografia a colori. Perché tanto successo? E' presto detto: non servivano apparecchi speciali, quindi ognuno poteva comprare le lastre Autochrome ed adottarle nell'apparecchio già posseduto.
Cosa ancora più importante: bastava una singola esposizione e non tre per ogni colore come in precedenti procedure. Ovviamente le pose erano comunque lunghe, molto più lunghe di quelle richieste dal bianco e nero, visto che la luce aveva tanti ostacoli prima di arrivare all'elemento sensibile. Ma la via era tracciata, e il colore era realtà.
Helen Messinger Murdoch su The National Geographic Magazine, marzo
1921
Autochrome
Fino agli anni 30 del '900 questo è stato il metodo più usato per riprodurre immagini a colori (usando lastre di vetro), dando una visione del mondo a colori per le masse attraverso riviste, mostre ed esposizioni varie. Arriverà poi l'era delle pellicole, rendendo tutto più trasportabile, immediato e semplice, ma di questo parleremo in altri approfondimenti.
Il tempo ci ha insegnato che la fotografia a colori non ha fatto sparire quella in bianco e nero, così come la fotografia in generale non ha portato all'estinzione dei pittori che cercano il realismo nella propria espressività. Il bianco e nero ha goduto di decenni di vantaggio dal punto di vista qualitativo, aiutato anche da una semplicità infinitamente maggiore in termini di sviluppo e stampa. Molte delle immagini in bianco e nero che possiamo definire storiche sono fissate per sempre nel nostro patrimonio culturale globale, tanto che se pensiamo alla Parigi della prima metà del secolo scorso, viene difficile non averne una sorta di evocazione in bianco e nero condizionata fortemente da Henri-Cartier-Bresson e Robert Doisneau, giusto per citare alcuni esempi.
Il colore ha comunque fatto la sua strada, decisamente più accidentata; la continua coesistenza di questi due filoni ben distinti ci ha regalato immagini indimenticabili e continuerà a farlo, a prescindere dal mezzo con cui si scatteranno foto. ■
Bibliografia:
Autochrome -
http://autochrome.com/Autochrome-centenaire/Accueil.html
Autocromia -
https://it.wikipedia.org/wiki/Autocromia
Joseph Nicéphore Niépce -
https://en.wikipedia.org/wiki/Nicéphore_Niépce
Gabriel Lippmann -
https://en.wikipedia.org/wiki/Gabriel_Lippmann
Louis Ducos du Hauron -
https://it.wikipedia.org/wiki/Louis_Ducos_du_Hauron
Levi Hill -
https://en.wikipedia.org/wiki/Levi_Hill
Hermann Wilhelm Vogel -
https://en.wikipedia.org/wiki/Hermann_Wilhelm_Vogel
Thomas Sutton -
https://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Sutton_(photographer)
Alexandre-Edmond Becquerel -
https://en.wikipedia.org/wiki/Edmond_Becquerel
John Frederick William Herschel -
https://en.wikipedia.org/wiki/John_Herschel
Dagherrotipia -
https://en.wikipedia.org/wiki/Daguerreotype
Procedimenti al bicromato -
http://www.lorenzoscaramella.it/index.php?page=procedimenti-al-bicromato
Color Snapshots of Paris in another Era -
http://www.messynessychic.com/2013/01/24/color-snapshots-of-paris-in-another-era-part-ii/
Auguste et Louis Lumière -
https://fr.wikipedia.org/wiki/Auguste_et_Louis_Lumière