Dal punto di vista ergonomico e funzionale, c'è poco che possiamo scrivere qui senza ripetere concetti già espressi nella recensione del modello precedente. La sintesi è che, a nostro parere, Sony ha impiegato 3 generazioni per rendere le sue A7 davvero perfette, ma con la versione Mark III (tanto della A7R quanto della A7) c'è riuscita, e ora c'è ben poco da aggiungere o modificare in un corpo macchina già molto valido. La A7R Mark IV si fonda su questo principio: piccoli affinamenti raccontati nella pagina precedente hanno ulteriormente migliorato l'esperienza d’uso, senza stravolgere nulla.
© Maki Galimberti. Questa foto, scattata dal Sony Ambassador Galimberti durante la prova della A7R IV, dimostra come la fotografia dinamica sia tutt'altro che inarrivabile.
L'impostazione tradizionale, con ghiera dei programmi e doppia ghiera di comando, non richiede particolari commenti e risulterà immediatamente familiare non solo ai possessori di precedenti modelli Sony A7, ma di qualunque reflex di fascia medio-alta.
L'esperienza d'uso con il mirino EVF è anch'essa molto simile a quella della A7R Mark III, e in assoluto tra le migliori della categoria. L'incremento di risoluzione, oltre a rendere la visione un poco più naturale e riposante, certamente aiuta in particolari circostanze, ad esempio nel caso di ingrandimento, ma nella maggioranza dei casi passa alquanto inosservato; ogni altro aspetto è identico: visione in tempo reale disponibile fino a 8 fps con oscuramento tra fotogrammi successivi chiaramente percepibile, visione differita a 10 fps, ottimo ingrandimento e ampia distanza di accomodamento – un mirino dunque molto confortevole, ed efficace anche in contesti dinamici. A titolo personale, continuiamo a ritenere i mirini ottici inarrivabili per lo sport, ma sulla A7R IV si può sperimentare l’attuale stato dell'EVF.
Insospettabile, ma più evidente, il miglioramento relativo all'interfaccia touch, ora più reattiva. Il touch è però qualcosa che abbiamo usato molto poco, e che molti utenti utilizzeranno probabilmente molto poco, per un semplice motivo: l'interfaccia tradizionale è migliore – perché toccare il punto di messa a fuoco, o usare il display come PAD, quando è possibile usare il joystick senza staccare gli occhi dal mirino?!?
Il riconoscimento occhi animali funziona a dovere, e si rivela molto utile per chi ama (o lavora con) gli animali, data la scarsa propensione dei cuccioli a rimanere in posa.
A rischio di apparire monotoni, dobbiamo poi copiare-incollare le precedenti valutazioni ergonomiche anche al sistema AF. È indubbiamente tra i migliori oggi disponibili, per reattività e capacità di inseguimento dei soggetti in AF-C, aspetto quest’ultimo sotto il quale si può dire non abbia rivali (tanto che siamo ormai piuttosto curiosi di vedere cosa si siano inventati Canon e Nikon per le loro imminenti nuove ammiraglie reflex…).
I vantaggi prestazionali rispetto alla precedente generazione sono però sfumati e difficili da percepire, anche grazie alla politica di aggiornamento continuo di Sony, che ha di fatto, progressivamente, reso disponibili le stesse funzioni oggi disponibili sulla A7R IV anche su A7R III e A7 III (oltre che sulle più recenti APS-C A6x00).
La novità più recente riguarda il riconoscimento occhi animali, e possiamo dire che anche questa funzione è stata ottimamente implementata. Leggermente meno sicura della versione "per umani", che dal canto suo è pressoché infallibile, risulta comunque largamente migliorativa rispetto a quanto visto finora. Considerata la maggior complessità del riconoscimento animale, non resta che complimentarci con gli ingegneri Sony per l'ennesima "chicca" tecnologica.
Dimensioni relative tra immagine standard (nel riquadro) e modalità pixel-shift 16x (sullo sfondo).
Altra novità di questo modello a livello funzionale è una più avanzata modalità ad alta risoluzione pixel-shift. Se in precedenza era possibile combinare 4 scatti spostati di 1 pixel, ora è stata aggiunta la modalità che unisce 4 di queste quaterne, spostate tra loro di mezzo pixel, per un totale di 16 immagini che generano un imponente file RAW da circa 240 Mpixel.
In alto: immagine standard. In basso: modalità pixel-shift 4x - la risoluzione non cambia, ma la maggior quantità di informazione cromatica riduce artefatti indesiderati come il color moiré (clicca per ingrandimento 100%).
Mostriamo qui un esempio dei risultati ottenibili. La modalità 4x produce immagini da 60 Mpixel senza demosaicizzazione (grazie al pixel-shift, ogni fotodiodo del sensore ha associata l’intera informazione cromatica RGB). Il risultato finale è un’immagine più ricca, meno propensa al color moiré se osservata al 100% e per questo indubbiamente di migliore qualità; differenze sostanziali con la singola foto da 60 Mpixel si possono però apprezzare solo in presenza di trame regolari come quella qui mostrata – in un paesaggio, le differenze sarebbero pressoché invisibili a occhio nudo.
Modalità pixel-shift 16x - grande dettaglio, ma immagini "morbide", poco incise...
La modalità 16x, dal canto suo, registra una quantità di informazione decisamente maggiore (uno scorcio da 100x100 pixel diventerebbe da 200x200 pixel), assicurando per questo molto più dettaglio ma, come già visto con questo tipo di tecnologia, l’immagine risultante appare un po’ “morbida”. Facendo un’ulteriore operazione di interpolazione verso il basso, cioè riportando l’immagine a 240 Mpixel a 60 Mpixel, si ottengono a nostro avviso i migliori risultati: notevolissimo livello di dettaglio garantito dall’assenza di artefatti, anche in presenza di trame fittissime, unito a una notevole incisività.
Modalità pixel-shift 16x ridimensionata - risultato ottimale.
I limiti di questa tecnologia sono la necessità di utilizzare un buon cavalletto (ogni minimo movimento genera artefatti che, pur se gestibili, vanificano il fine ultimo dello scatto multiplo) e l’obbligo di unire gli scatti multipli in post-produzione, all'interno del software Sony Imaging Edge. Software che, per inciso, è ben realizzato e pratico (tra le altre cose, riconosce la sequenza selezionando la prima immagine che la compone), ma che non necessariamente fa già parte del normale flusso di lavoro del fotografo. Ci rendiamo conto dell’enorme mole di dati da elaborare ma, anche a fronte di una certa attesa, l’elaborazione in-camera sarebbe a nostro avviso la ciliegina sulla torta.
Concludiamo con l'autonomia di scatto, sostanzialmente invariata rispetto al modello precedente e perlomeno all’altezza di una reflex di fascia media. Per una mirrorless, non è poco.