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Guida alla fotografia - parte 6: il flash
Guida alla fotografia - parte 6: il flash
Matteo Cervo - 29 Aprile 2008
“Il flash è uno di quegli strumenti che suscitano nel fotografo un rapporto di amore e odio: amore per le possibilità che offre, odio per la difficoltà d’utilizzo. In questo articolo, che apre il secondo ciclo delle nostre guide fotografiche, ne analizzeremo il funzionamento e la storia. Nella prossima puntata approfondiremo le tecniche di utilizzo”
Pagina 1 - Introduzione

“Photography needs light. Good photography needs the right quality of light.” Neil Turner

Il flash è uno di quegli strumenti che suscitano nel fotografo un rapporto controverso, di odio e amore: amore per le possibilità che offre, odio per la difficoltà d’utilizzo. Grazie ai moderni automatismi come l’E-TTL, scattare con il flash può sembrare estremamente semplice, in realtà i risultati ottenuti non sono spesso soddisfacenti. Nelle prossime pagine si spiegherà come ottenere il meglio lavorando in luce artificiale.

Il flash è un dispositivo che emette un lampo luminoso capace di schiarire la scena in condizioni di scarsa luminosità o addirittura in condizioni di buio completo; ne esistono diversi modelli che potrebbero essere grossolanamente suddivisi in quattro categorie:

1.Integrati: equipaggiano bene o male tutte le fotocamere compatte, bridge e reflex di fascia entry-level e prosumer. Sono piccoli e dispongono di poca potenza luminosa proprio perché limitati dal dover trovar posto sulla fotocamera e dal fatto che non dispongono di un’unità di alimentazione dedicata; non possono essere direzionati ma proiettano il fascio luminoso sempre in direzione del soggetto. D’altra parte il fatto di avere un flash sempre a disposizione “on-board” risolve spesso situazioni critiche o non previste.

2.Esterni a slitta: vengono anche chiamati cobra per via della forma, che ricorda quella assunta dal serpente. Sono molto versatili, esistono vari modelli che si differenziano per potenza luminosa e possibilità di sfruttare determinati automatismi o funzioni avanzate come la compensazione del lampo flash o la motorizzazione della parabola. Caratteristica madre di questi illuminatori è la possibilità di poter essere orientati secondo diversi angoli, sia rispetto al piano orizzontale che rispetto a quello verticale. Trovano posto sulla fotocamera in un alloggiamento dedicato chiamato slitta o contatto caldo, dall’inglese hot shoe.

3.Esterni a torcia: hanno le stesse peculiarità dei flash cobra ma dispongono di una maggiore potenza luminosa che viene assicurata da un’unità di alimentazione separata. Proprio per questo motivo il loro peso è discreto e viene sostenuto non dalla slitta, ma da una staffa laterale; cosa che per altro permette di ridurre l’odiato effetto occhi rossi ed illuminare una porzione più ampia della scena.

4.Esterni da studio: sono vere e proprie unità ad alta potenza dotate di trasformatore, elettronica di controllo e sistema di raffreddamento. Vengono utilizzati prevalentemente in studio per via del peso e delle dimensioni, non che per la necessità di una presa di corrente. Esistono in commercio anche delle lampade, molto più leggere ed economiche, complete di portalampada che generano un lampo flash comandate tramite un cavetto Synchro. Possono essere una valida alternativa che permetta di approntare un piccolo studio senza spendere una fortuna.

Il sistema cobra è quello che trova maggiori attenzione da parte dei fotografi proprio perché riesce ad unire praticità ed efficacia a costi mediamente accessibili. Se non specificato, in seguito si farà riferimento a questo tipo di flash.

Pagina 2 - Otturatore e synchro flash

Per spiegare come funziona l’attivazione del flash bisogna prima affrontare il funzionamento dell’otturatore. Questo è la barriera fisica che protegge il sensore dalla luce ed è costituito da tendine in metallo oppure in particolari tessuti sintetici. Le tendine dell’otturatore sono due e scoprono il sensore scorrendo lungo il piano verticale od orizzontale parallelo a questo ultimo. Nel momento in cui si preme il pulsante di scatto, la prima tendina si apre progressivamente facendo sì che il sensore possa essere impressionato.

Si immagini di aver scelto un tempo di esposizione pari ad 1/60 di secondo; ciò significa che ogni sezione del sensore dovrà essere impressionata per questo intervallo di tempo. Questo è fattibile grazie alla seconda tendina che si chiude progressivamente a partire da un istante stabilito, in ritardo rispetto alla prima tendina, in maniera che le sezioni di sensore scoperte per prime siano anche le prime ad essere coperte nuovamente in modo da garantire l’intervallo di esposizione corretto.

Più la velocità di otturazione sale, più l’intervallo di partenza tra le due tendine si riduce, tanto che, per tempi di scatto molto rapidi il sensore non viene impressionato tutto assieme ma a pezzi, corrispondenti alla finestrella formata dalle due tendine che si rincorrono scorrendo. Questo pone un limite fisico alla velocità di scatto che è possibile utilizzare con il flash poiché l’unico momento in cui si potrà illuminare interamente il fotogramma sarà quando la prima tendina è arrivata a fine corsa ma la seconda non è ancora partita.

La velocità utile a scattare con il flash è detta synchro-flash ed oramai si aggira anche su tempi dell’ordine di 1/500 di secondo, ciò dipende da quanto è evoluta l'elettromeccanica che gestisce lo scorrimento dell'otturatore: alcune fotocamere hanno un tempo di synchro di 1/60, altre di 1/125, altre ancora di 1/250. In sintesi tutti i tempi di scatto di durata uguale o superiore al synchro-flash sono utilizzabili senza il rischio di perdere parte del fotogramma, come nell'esempio che segue:

Il synchro-flash della fotocamera utilizzata per questo scatto è 1/250 di secondo ma la foto è stata eseguita ad una velocità di otturazione più breve, 1/500 . La banda nera in basso non è altro che la seconda tendina in procinto di chiudersi.

Pagina 3 - Numero Guida

Una domanda che tutti prima o poi si pongono, in procinto di comperare un flash è :”Quanto è potente? Fino a che distanza illumina?". Col tempo si impara a capire che non è solo importante illuminare a 50 metri di distanza, ma anche come lo si fa. Nonostante questa accortezza, comprendere il significato del numero guida è il primo passo per comprendere come illuminare adeguatamente la scena. Il numero guida (NG) è un valore che indica il rapporto tra la distanza flash-soggetto ed il diaframma che si sta utilizzando; viene calcolato supponendo di scattare ad una sensibilità di 100 ISO con un obiettivo da 50 mm.

NG = Distanza * Diaframma

E’ un parametro che serve anche a confrontare diversi flash tra loro. Facciamo un esempio: il numero guida del flash integrato nella Canon 20D è 13 mentre quello del flash a slitta dedicato Canon 430-EX è 43. Si ragioni per comodità in termini di diaframmi, sempre a 100 ISO, chiedendoci quale è la distanza massima a cui possiamo illuminare il soggetto scattando con apertura f-5,6:

Distanza = NG / Diaframma

Integrato 2,3 m
430-EX 7,6 m

Come si vede dalla tabella la differenza è più di tre volte. Aumentando la sensibilità del sensore a parità di flash, il numero guida dichiarato rimane lo stesso ma quello apparente aumenta:  usare il Canon 430 Ex a 200 ISO equivale ad utilizzare un flash con numero guida di 60. Come si potrà immaginare questo è dovuto al fatto che aumentando la sensibilità, la luce necessaria ad impressionare il sensore sarà minore. Se per 100 ISO si espone correttamente ad f/5,6, per 200 ISO si passerà a f/8, per 400 ISO a f/11 e così via. Va notato che il rapporto che intercorre tra sensibilità e NG è legato da una serie di fattori di moltiplicazione molto facili da ricordare poiché altro non sono che la progressione della scala del diaframma:

ISO 100 200 400 800 1600 3200 ...
Fattore X 1 1,4 2 2,8 4 5,6 ...

Nel caso in esempio NG passa da 43 a 100 ISO a 43*2,8=120 a 800 ISO, facendo ancora qualche calcolo si ottiene che la distanza massima cui si può illuminare il soggetto ad f/5,6 sarà (43*2,8)/5,6=120/5,6=21,5 m. Il numero guida però non rappresenta la potenza della luce emessa della lampada, in quanto questa è funzione anche della forma e posizione della parabola e della presenza o meno di filtri o diffusori montati sulla testa del flash.

Pagina 4 - Parabola motorizzata

La parabola motorizzata è un meccanismo che permette di variare la posizione dell'elemento riflettente in modo da indirizzare la luce della lampada a seconda delle esigenze. In pratica serve a ottimizzare la luce emessa dalla lampada in funzione del campo di vista che viene coperto dall’obiettivo: più la parabola è chiusa più il fascio di luce sarà concentrato e viceversa. Tutto ciò permette di illuminare uniformemente il fotogramma evitando che i bordi, o peggio una buona percentuale dell’inquadratura, rimanga sottoesposta od addirittura al buio.

A riguardo bisogna prestare attenzione alle specifiche del proprio illuminatore poiché i sensori di formato ridotto utilizzano obiettivi grandangolari che non tutti i flash sono in grado di coprire; solitamente la minima focale utilizzabile si aggira intorno ai 24 mm, attraverso il piccolo diffusore a scomparsa si può lavorare con tranquillità anche a 18 mm, mentre con i flash dedicati questi problemi non sussistono se non congiuntamente all’uso di ultra grandangolari al di sotto dei 14 mm. In questo caso l’utilizzo di un diffusore esterno opzionale applicato alla testa del flash risolve la situazione.


Immagine 1


Immagine 2

In queste immagini la parabola del flash è stata volutamente chiusa a 105 mm quando la focale di ripresa era 24 mm e diretta verso le persone in modo da illuminare limitatamente il soggetto e farlo risaltare all’interno dell’inquadratura.

Pagina 5 - Un po' di storia

I moderni flash permettono di calcolare automaticamente la giusta quantità di luce utile ad illuminare una determinata scena, comunicano con la fotocamera scambiando con essa i dati relativi ai parametri di esposizione, bilanciamento del bianco e focale in uso. L’elettronica imposta l’apertura della parabola e la durata del lampo flash, interrompendolo non appena la luce diventa sufficiente all’esposizione. Per capire come viene effettuata la corretta esposizione in luce artificiale ripercorriamo come la tecnologia flash si è sviluppata fino ai moderni modelli digitali.

Prima degli anni trenta non si può parlare propriamente di flash come lo si conosce oggi poiché il lampo luminoso veniva assicurato dalla combustione di una piccola quantità di polvere di magnesio, come è sicuramente capitato di vedere in film ambientati in quegli anni. In seguito lampade ad arco voltaico hanno vissuto un transitorio prima di arrivare alla struttura basata sui tubi di Geissler. Si immagini un tubo di vetro all’interno del quale è contenuta una miscela di gas nobili, ad esempio xenon, alle cui estremità vengono posti due elettrodi collegati ad un condensatore. Il tubo è avvolto da una spira di filo conduttore collegato in bassa tensione alle batterie che alimentano il flash: grazie alla corrente che vi scorre è possibile ionizzare il gas rendendolo leggermente conduttore.


Esempi di Tubi di Geissler

Nel contempo il condensatore carico è pronto a rilasciare un picco di alta tensione ai capi del tubo di Geissler generando il lampo luminoso di durata infinitesima, ovviamente in seguito alla pressione del pulsante di scatto o chiudendo il relativo contatto elettrico. Il processo chiama in gioco i salti di orbitali degli elettroni che compongono gli atomi di gas; senza addentrarci nei particolari vi basti sapere che per ottenere la quantità di luce necessaria ad uso fotografico c’è bisogno di utilizzare tubi grandi, contenenti molto gas oppure lasciare che il condensatore continui a scaricare per un periodo più prolungato in maniera da assicurare una generazione continua di lampi che il nostro occhio percepisce come un unico flash luminoso. Si capisce come questo sistema sia molto limitante poiché il fotografo non ha praticamente controllo sulla produzione luminosa e quindi sull’esposizione, a meno della scelta del diaframma e della distanza del soggetto.

Un leggero passo avanti viene fatto dotando il flash di una fotocellula che legge la luce riflessa ed interrompe il lampo non appena giudica sufficiente il livello di esposizione, a patto di impostare il valore di diaframma in uso sul flash. Tutto ciò svincola il fotografo dalla variabile distanza del soggetto.

Il vero salto innovativo viene fatto da Olympus, che nel 1979 introduce sulla Om-2 il primo automatismo TTL, acronimo di Trough The Lenses, attraverso le lenti. Grazie all’utilizzo di un sensore posto in prossimità del box specchio, viene misurata la luce riflessa dalla pellicola. Questa modalità di lettura prende il nome di OFF THE FILM, più conosciuta sotto l’acronimo OTF. L’innovazione risiede proprio nel fatto che la cellula OTF è posta all’interno della fotocamera e misura la luce a livello del supporto di registrazione, a valle di obiettivo e filtro. Questo sistema richiede che fotocamera e flash siano in grado di comunicare tra loro in maniera da dosare la corretta emissione luminosa. Grazie al TTL viene abbattuta anche la frontiera che obbligava a lavorare con diaframmi prefissati di volta in volta: basta impostare i parametri di scatto all’interno del range dei tempi di synchro flash e non eccedere il numero guida dell’illuminatore per ottenere automaticamente l’esposizione corretta.

Pagina 6 - Un po' di storia - parte seconda

Corretta... il concetto di correttezza è andato via via evolvendosi nel tempo ed il sistema TTL che per un decennio sembrava essere l’approdo ultimo dell’illuminazione artificiale si è scontrato con le innovazioni che interessavano le fotocamere e con le esigenze dei fotografi. Quasi tutte le case ed i modelli cominciavano ad adottare sensori per la misurazione in luce continua (il sensore che comanda l’esposimetro) che effettuavano una lettura valutativa multizona, rispetto al vecchio sistema a lettura media pesata al centro; la cellula OTF al contrario rimaneva sempre la stessa e per di più la differenza di lettura della prima, effettuata a livello del pentaprisma, con la seconda alloggiata nel box specchio diventava sempre più marcata.

La struttura TTL non permetteva di illuminare adeguatamente un soggetto decentrato e le riprese in luce mista non restituivano sempre risultati ottimali. E’ a questo punto che Canon rivoluziona il sistema TTL a metà degli anni ’90 con la EOS 50, facendo si che il calcolo di emissione flash ed esposizione venisse effettuato a monte dello scatto. Nella pratica il sensore OTF viene eliminato mentre la cellula a luce continua, oltre a fornire dati all’esposimetro, invia informazioni anche al processore della fotocamera accoppiato ad un flash dedicato. Un brevissimo lampo pre-flash viene emesso qualche millisecondo prima del sollevamento dello specchio e dell’apertura dell’otturatore, non visibile dall’uomo, ma abbastanza per integrare algoritmi che tengano conto della distanza dal soggetto, del punto di messa a fuoco e della presenza o meno di superfici riflettenti o scure che potrebbero falsare l’esposizione.

Si capisce bene quali enormi vantaggi conseguano da un sistema di questo tipo che Canon ha chiamato E-TTL; anche Nikon non ha atteso oltre mettendo a punto sistemi equivalenti a partire dalla F5 ed F100 con il I-TTL evolutosi a D-TTL nelle moderne digitali. E’ sempre Nikon che affina ancora di più i sistemi avanzati TTL attraverso il rilevamento MATRIX 3D: grazie alla valutazione della distanza, il processore è in grado di calcolare se un determinato valore di luminanza letto dalla cellula multizonale debba essere compensato o meno in funzione della distanza dalla fotocamera, sia di quest’ultimo che di altri settori adeguatamente pesati all’interno della scena. Canon e Konica-Minolta hanno saputo tener testa a questa innovazione rispettivamente con i sistemi E-TTL II e ADI, adattando il NG del flash in funzione della distanza del soggetto.

Grazie all’introduzione dell’elettronica i flash portatili sono diventati piccoli gioielli della tecnica capaci delle stesse funzioni avanzate dei flash professionali. Una fra tante è la possibilità di sincronizzare il lampo luminoso con tempi di scatto inferiori alla velocità di synchro flash della fotocamera oppure quella di poter collegare in modalità wireless più unità fra loro in modo che comunichino per effettuare letture combinate ed ottenere l’esposizione corretta. Fatta questa breve carrellata dello stato dell’arte potete decidere se lasciar esporre automaticamente il sistema fotocamera-flash oppure potete migliorare le vostre riprese sfruttando al massimo quello che la tecnologia vi mette a disposizione.

La prima parte della guida sul flash si conclude qui, nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda parte, che approfondisce sul campo le diverse tecniche di utilizzo dei lampeggiatori.