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Pagina 1 - Introduzione Siamo giunti alla quarta delle cinque puntate previste per questa prima guida fotografica, dedicata ai neofiti della fotografia digitale. A questi indirizzi potete trovare la puntata introduttiva, quella relativa all'inquadratura e quella dedicata all'esposizione. La prossima puntata, che chiuderà il primo ciclo, presenterà in modo dettagliato la struttura della fotocamera reflex.
Nella prima parte del tutorial riguardante l'esposizione si è accennato come l'uso consapevole di tempi e diaframmi sia il primo passo nell'interpretare personalmente lo scatto, una volta acquisita dimestichezza nel produrre un'esposizione corretta è proprio la scelta opportuna della coppia tempo-diaframma che trasforma una foto da leggibile ad interessante. Riprendendo brevemente quanto detto riguardo ai tempi di scatto si può affermare che a 100 iso, con uno zoom standard (18-55;18-85 mm) i tempi di sicurezza sono quelli più brevi di 1/125; ciò consente di ottenere foto nitide nelle riprese di paesaggio, natura morta e ritratto. Nel momento in cui il soggetto e la fotocamera hanno un'elevata velocità relativa entra in gioco il fattore mosso. Il tempo di scatto da utilizzare sarà funzione dell'effetto desiderato: si vuole mantenere nitidezza e congelare l'azione? Oppure si vuole restituire dinamismo, frenesia, velocità? Se si opta per la prima scelta i tempi di scatto dovranno essere tanto brevi quanto più il movimento relativo è accentuato: una persona che cammina si può bloccare a 1/125, due bambini che si lanciano una palla possono essere congelati da 1/250 ma la palla probabilmente sarà nitida solo a partire da 1/500. Così, una gara ciclistica od un'automobile in marcia lungo la strada potranno richiedere 1/1000, va considerato infatti, anche come si muove il soggetto rispetto alla fotocamera: gli sta andando incontro oppure attraversa la perpendicolare al piano focale? Nel secondo caso il rischio di mosso sarà più elevato. Se si opta per la seconda scelta saranno i tempi lunghi a fare da padroni: 1/30 ad una partita di calcio, 1/15 ad un balletto o in mezzo al traffico dell'ora di punta, qualche minuto nella ripresa di un cielo stellato. Sperimentare con i tempi lunghi è decisamente stimolante e ci si può accorgere che gli effetti migliori li si ottengono con gli intervalli di esposizione più spinti.
Il secondo parametro a disposizione del fotografo sono i diaframmi, li si è paragonati ad un rubinetto: diaframmi aperti lasciano passare tanta luce, diaframmi chiusi ne lasciano passare poca; la loro funzione principale è regolare la profondità di campo, ovvero l'ampiezza della zona nitida davanti e dietro il piano di messa a fuoco. Pagina 2 - Il Circolo di Confusione Per capire cos’è la profondità di campo bisogna prima introdurre un altro concetto che è quello di Circolo di Confusione: una persona, osservando un foglio bianco da circa 20-25 cm. di distanza è in grado di distinguere due punti disegnati sul foglio che distino tra loro 1/16 di mm; 1/16 di mm. è il potere risolvente del nostro occhio, al di sotto di 1/16 questi punti non vengono più percepiti come distinti ma diventano una sola macchiolina sfuocata, un circolo di confusione appunto che si traduce nella distanza minima che permette di percepire due punti come distinti. Siccome è proprio la nitidezza che ci interessa, ovvero riuscire a distinguere dettagliatamente gli oggetti, si può già immaginare come il circolo di confusione sia direttamente implicato nella determinazione della profondità di campo. Quando si affrontò la questione a livello industriale, tecnologico, ci si rese conto che 1/16 di mm era un parametro per lo più teorico e si decise così che anche 1/6 di mm (0,1667 mm) poteva andare bene. Infatti 1/16 si ottiene sotto le migliori condizioni: luce perfetta, punti estremamente contrastati ed osservatore sano; spesso succede che la luce non è ideale e tutti noi siamo più o meno affetti da disturbi visivi. Agli albori della stampa fotografica industriale si notò che il cliente in generale richiedeva stampe di piccole dimensioni, circa 5 volte le dimensioni del negativo 35 mm ed affinché un ingrandimento di questo tipo risulti nitido il circolo di confusione diventa 0,1667/5=0,0333 mm. Questo valore è quello utilizzato da molti produttori di lenti per testare i propri obiettivi, viene espresso anche in linee pari per millimetro: 1/0,0333= 30 lp/mm; guarda caso, 30 lp/mm è anche il massimo valore risolvente richiesto ad una stampa fotografica e così si è assunto questo valore come standard. Tenete conto che anche la distanza dalla quale si guarda la stampa ha un ruolo dominante, tanto più si è distanti tanto più diventa accettabile un piccolo valore di lp/mm; per fare un esempio pratico provate ad avvicinarvi molto ad un cartellone pubblicitario, noterete che la distribuzione di inchiostro non è continua ma l’immagine è formata da tanti punti colorati, d’altra parte è una stampa destinata ad essere vista da qualche metro in poi. Assodato che il circolo di confusione è un parametro scelto dall’uomo in funzione della dimensione di stampa da effettuare, vediamo ora come questo si lega alla profondità di campo che, al contrario, è un preciso fenomeno ottico basato sulla scelta di un determinato circolo di confusione. Come detto prima la profondità di campo è la zona di nitidezza davanti e dietro il piano di messa a fuoco; quanto è estesa questa zona? Dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo, dalla distanza del soggetto da fotografare, dai diaframmi utilizzati ed ovviamente, dal circolo di confusione. Pagina 3 - La profondità di campo
Attraverso una formula che verrà riportata in appendice si può calcolare il più vicino punto nitido ed il più distante, che potrà spesso arrivare all’infinito; sempre in appendice si farà un breve approfondimento per chi è già pratico nell’uso dei diaframmi, per il momento vi basti sapere che piccoli valori f si traducono in una ridotta profondità di campo, mentre grandi valori f aumentano la profondità di campo. Gli obiettivi a focale fissa riportano incisa sul barilotto una scala graduata calibrata su 30 lp/mm che permette di valutare i metri di profondità di campo ad una data apertura. Gli obiettivi zoom, proprio a causa della variabile data dalla focale mobile non riportano questa scala, starà quindi al fotografo fare i dovuti conti: cliccando qui potete scaricare un utile programmino freeware che facilita enormemente il calcolo! Una credenza comune è che obiettivi grandangolari abbiano una maggiore profondità di campo dei teleobiettivi, in realtà, a patto di inquadrare il soggetto in modo che occupi la stessa superficie di inquadratura la profondità di campo non varia; la variabile che permette questa compensazione è la distanza dal soggetto, passando da un grandangolo ad un tele, per poter inquadrare nella stessa maniera bisogna infatti allontanarsi dal soggetto.
Utilizzando un diaframma aperto si ottiene un foro del diametro equivalente pari alla lunghezza focale/valore f, maggiore è il diametro del foro equivalente, maggiore sarà la luce che potrà passare e di conseguenza, per esporre correttamente si userà un tempo breve; questo fa si che solo il piano di messa a fuoco sarà impressionato in modo nitido mentre gli altri piani non avranno il tempo di fissarsi sul sensore e definire tutti i propri dettagli, il che si traduce nella sfocatura. Utilizzando un diaframma chiuso, il foro equivalente diminuisce il proprio diametro e fa passare meno luce, per esporre correttamente bisognerà usare tempi più lunghi; a questo punto sia il piano di messa a fuoco che i piani limitrofi avranno il tempo di impressionare il sensore arricchendolo dei dettagli che li caratterizzano, il campo di nitidezza aumenta, si dice che diventa più profondo. L'uso consapevole della profondità di campo permette di includere od escludere uno o più elementi dall'inquadratura, pilotando l'attenzione dell'osservatore:
Nelle due riprese dell'etna viene esemplificato come la stessa coppia tempo-diaframma possa concentrare l'attenzione dell'osservatore sulla texture del primo piano oppure renderla la cornice del secondo piano; questo si ottiene con una bassa profondità di campo ed attraverso la scelta dell'opportuno punto di messa a fuoco.Una buona linea guida è quella di utilizzare diaframmi aperti nella fotografia di ritratto e diaframmi chiusi in quella paesaggistica: la scelta è dettata dal fatto che nel ritratto si vuole concentrare l'attenzione sulla persona escludendo il contorno, lo sfondo.
Nella fotografia di paesaggio al contrario si vuole la massima nitidezza, più dettagli possibili, la maggiore profondità di campo che si ha a disposizione. Altri campi in cui è necessario valutare bene la profondità di campo sono sicuramente la macrofotografia e la fotografia naturalistica: nel primo caso le piccole distanze di messa a fuoco obbligano al corretto posizionamento della fotocamera rispetto al soggetto ed il rischio di ottenerne delle parti fuori fuoco deve far riflettere sull'utilizzo della massima apertura come una situazione critica da gestire con molta attenzione; nel secondo caso l'uso di teleobbiettivi molto spinti aumenta la percezione dello sfuocato e di conseguenza bisognerà cercare di diaframmare almeno da f-8 in su in maniera da ottenere tutte le parti del soggetto correttamente a fuoco.
Pagina 4 - Istogrammi Dopo aver parlato di tempi e diaframmi chiudiamo questo primo approccio all’esposizione affrontando gli istogrammi. Quest’ultimi sono i grafici che riportano la distribuzione dei livelli di luminosità. Rappresentano i valori che vanno da 0, ombra assoluta, a 255, luce assoluta; tra questi due valori prendono posto le ombre, i mezzitoni e le luci. Valutare l’esposizione di una foto tramite istogramma è un metodo più sicuro, anche se meno intuitivo, che farlo tramite schermo lcd della macchina. Approssimando molto le cose si può dire che un'esposizione corretta viene rappresentata da un istogramma che copra tutti i valori di luminosità con una distribuzione che ricorda il profilo di una catena montuosa.
Una foto sottoesposta sarà invece rappresentata da una coda sulla destra, mancano le componenti chiare dell’immagine.
Una foto sovraesposta sarà un picco a destra oppure una profonda valle tra due picchi appuntiti, mancano le informazioni relative alle ombre.
Valutare in questo modo gli istogrammi è veritiero quando ci si trova in condizioni standard, quando stiamo riprendendo una scena con una buona distribuzione di luci, ombre e mezzi toni. Questa foto della luna, visualizzata tramite Photoshop è affiancata dal proprio istogramma ottenuto tramite il comando Livelli, guardando l’immagine noterete immediatamente che lo sfondo è scuro, nero, un’ombra piena. Difatti, in corrispondenza del valore zero è presente un picco estremamente appuntito, indica che la foto possiede una percentuale molto elevata di quel valore di luminosità, o se vogliamo giocare sulle parole, “una percentuale molto elevata di quel valore d’ombra”!!
Confrontate con l’immagine precedente e notate l’aumento del contrasto. Le code sono state tagliate, il valore di luminanza di destra viene normalizzato a 255, quello di sinistra viene normalizzato a 0, l’immagine ha perso parte delle proprie sfumature.
Anche se verificare la foto visualizzandola sull’LCD può sembrare più comodo, è bene imparare ad interpretare l’istogramma poiché restituisce delle informazioni dettagliate che non avremmo modo di ottenere tramite un piccolo schermo da due o tre pollici affetto dai disturbi derivati dalla posizione e dalla luce ambiente. In conclusione, un esercizio utile per rendersi conto del limite al quale ci si può spingere è quello di fare diversi scatti dello stesso soggetto variando la profondità di campo oppure cercando di utilizzare tempi di scatto sempre più lunghi. Utilizzate l'istogramma per verificare l'esposizione ed esercitatevi a scattare a mano libera cercando di ridurre il mosso ed il micromosso. Pagina 5 - Appendice Profondità di Campo Parlando di profondità di campo ci si è fermati al suo concetto generale ma non si è approfondito come questa viene calcolata e se è possibile definirla prima di scattare. Per dipanare questa matassa bisogna introdurre il concetto di distanza iperfocale, è la minima distanza del punto di messa a fuoco, che ad una determinata apertura di diaframma, permette di ottenere una profondità di campo infinita; dall’altro lato il punto più vicino alla macchina che rimane ancora a fuoco è pari alla metà della distanza iperfocale. In parole povere se con un 50 mm ad f-16 la distanza iperfocale è 5,2 metri, focheggiando a questo valore la zona di nitidezza si estenderà da 2,6 metri fino all’infinito. La fotografia paesaggistica si sviluppa proprio intorno alla distanza iperfocale. Come si arriva a definire questi valori lo si ricava dalla seguente formula:
Profondità di campo = Punto più lontano – Punto più vicino Dove: Si può ora capire che se può essere agevole calcolare la distanza iperfocale quando si è in cima ad una montagna, comincia a diventare meno immediato dover fare i conti sulla profondità di campo, motivo per il quale è stato segnalato il programma freeware dedicato. A partire da queste formule è possibile determinare da dove e per quanto si estenderà la profondità di campo. Per gli amanti delle diatribe digitale versus pellicola una domanda che ci si può porre è perché il digitale schiaccia tra loro i piani immagine più di quanto faccia la pellicola? Ciò si traduce in una maggiore difficoltà nel produrre un buono sfuocato. La risposta va ricercata nel fatto che il sensore delle digitali è più piccolo del negativo 35 mm. il rapporto di ingrandimento che ne consegue è artefice di questo effetto ma il calcolo della profondità di campo si effettua esattamente nella stessa maniera, il concetto di circolo di confusione ovviamente non cambia. Visto che proprio quest’ultimo è un parametro indipendente che può scegliere il fotografo si riportano di seguito diversi diametri che possono essere usati per calcolarsi la propria profondità di campo a seconda delle dimensioni della stampa. • 0.03mm standard utilizzato per le stampe di medio bassa qualità; |
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