Un chip di memoria al posto di un sensore fotografico. Nessun delirio frutto di una notte brava a base di alcolici: si tratta di un progetto di ricerca portato avanti da un team della Technical University of Delft, nei Paesi Bassi, coordinato da Edoardo Charbon, che sta indagando la possibilità di realizzare sensori di immagine in maniera più economica e più semplice rispetto alle attuali tecnologie CCD o CMOS.
L'idea portata avanti da Charbon si basa su un principio che in realtà è già conosciuto. Da tempo è infatti noto che i chip di memoria sono estremamente sensibili alla radiazione luminosa: la rimozione della parte nera del loro package e l'eventuale esposizione alla luce fa si che i fotoni della radiazione diano luogo ad una corrente in ogni cella di memoria, modificando la carica conservata in esse. "La luce, semplicemente, distrugge l'informazione" ha dichiarato Martin Vetterli, membro del team.
In una pubblicazione presentata in occasione di una conferenza a Kyoto, gli sviluppatori hanno dichiarato che il nuovo sensore chiamato "gigavision" potrà rendere possibile la realizzazione di telefoni cellulari o dispositivi simili in grado di scattare fotografie qualitativamente superiori rispetto a quanto possibile con la tecnologia disponibile ai giorni nostri. Charbon ha inoltre dichiarato che il dispositivo è in grado di operare meglio sia alle alte sia alle basse luci, dove normalmente le fotocamere digitali hanno problemi di resa, in special modo nelle incarnazioni economiche.
Sulla base di ciò il gruppo dei ricercatori ha avuto modo di notare che osservando con attenzione una cella di memoria di un chip esposto alla radiazione luminosa è possibile stabilire, dall'informazione presente nelle celle, se ciascuna di esse si trova in un'area illuminata oppure no: in questo modo, di fatto, si ottiene la conservazione di un'immagine digitale.
E' tuttavia un po' azzardato parlare di "immagine" dal momento che ciascuna cella può conservare solamente un valore binario (uno zero od un uno) corrispondente pertanto alla presenza o all'assenza di luce. Affinché sia possibile ottenere i valori di luminosità di una scala di grigi, il team di ricerca sta portando avanti lo sviluppo di un algoritmo software in grado di analizzare un array di 100 pixel e determinare, su base statistica, il valore di "grigio" dell'array. L'aspetto positivo, comunque, sta nel fatto che l'immagine viene creata direttamente in maniera digitale: gli attuali sensori CCD o CMOS, infatti, registrano il valore di luminosità di ciascun pixel con un segnale analogico, che necessita di essere convertito con tutte le ricadute negative introdotte da una conversione da analogico a digitale.
Il team ha comunque sottolineato che maggiore è il numero di "pixel binari" a disposizione, migliore è la resa del "sensore gigavision" nelle alte e nelle basse luci. Questa caratteristica permette l'eventuale impiego di questo particolare tipo di sensore (ammesso che riesca a trovare la strada della produzione commerciale) in ambiti quale la produzione di immagini HDR, particolarmente importante per l'imaging medicale.
Uno dei problemi principali che il team dovrà affrontare è pero rappresentato dalla bassa sensibilità dei pixel, le cui dimensioni sono piuttosto contenute: il numero di fotoni che può essere raccolto da ciascuno di loro è pertanto piuttosto esiguo e, per questo motivo, dar luogo ad un segnale particolarmente rumoroso.
Il gruppo di ricerca ha comunque affermato che il progetto non è semplicemente un esercizio di stile accademico e che pianificano di poter realizzare una versione del chip gigavision entro la fine dell'anno e di renderlo operativo nella prima parte del 2010.