Cinquecento milioni di anni fa, gli oceani pullulavano di miliardi di trilobiti, creature lontane cugine dei granchi a ferro di cavallo. Tutti i trilobiti avevano una vista molto sviluppata, figlia di occhi formati da decine a migliaia di minuscole unità indipendenti, ciascuna con la propria cornea, lente e cellule fotosensibili.
Un gruppo di questi artropodi, chiamato Dalmanitina socialis, si caratterizzava per gli occhi bifocali, ciascuno montato su steli e composto da due lenti che piegavano la luce a diverse angolazioni per consentire a queste creature di vedere contemporaneamente prede nelle vicinanze e nemici lontani a più di un chilometro di distanza.
Ispirandosi proprio agli occhi della Dalmanitina socialis, i ricercatori del National Institute of Standards and Technology (NIST) hanno sviluppato (Nature) una fotocamera miniaturizzata dotata di un obiettivo bifocale con una profondità di campo da record: può visualizzare contemporaneamente oggetti da 3 centimetri e fino a 1,7 chilometri di distanza in modo perfetto. Oltre alla parte "tecnica", un algoritmo si occupa di correggere le aberrazioni, rendendo più nitidi gli oggetti a distanze intermedie.
Il primo tassello messo a punto dai ricercatori è stato quello di fabbricare una serie di minuscole lenti note come metalenti. Queste sono state ottenute tempestando una superficie di vetro piana con milioni di minuscoli pilastri rettangolari di dimensioni nanometriche ribattezzati "nanopilastri". La forma e l'orientamento di questi nanopilastri è ciò che permette di focalizzare la luce in modo tale da far agire la metasuperficie come un obiettivo macro (per oggetti ravvicinati) e un teleobiettivo (per oggetti distanti).
Nanopilastri in ossido di titanio che compongono le metalenti
I nanopilastri catturano la luce da una scena che è divisibile in due parti uguali: si parla di polarizzazione circolare sinistra (il campo elettrico ruota in senso antiorario) e polarizzazione circolare destra (orario). I nanopilastri piegano la luce polarizzata circolarmente a sinistra e destra in quantità diverse, a seconda dell'orientamento dei nanopilastri.
Nel caso specifico il team ha disposto i nanopilastri, di forma rettangolare, in modo tale che una parte della luce in entrata viaggiasse lungo la parte più lunga del rettangolo e una parte tramite la parte più corta. Percorrendo il percorso più lungo la luce era costretta ad attraversare più materiale e quindi a subire una maggiore curvatura. Al contrario, la luce aveva meno materiale da attraversare e quindi meno curvatura.
La luce piegata in quantità diverse viene portata a una messa a fuoco diversa. Maggiore è la curvatura, più vicina è focalizzata la luce. In questo modo, a seconda che la luce abbia viaggiato tramite la parte più lunga o più corta dei nanopilastri rettangolari, le metalenti producono immagini sia di oggetti distanti (1,7 chilometri) che vicini (pochi centimetri).
Illustrazione che mostra come le metalenti mettano a fuoco oggetti vicini e lontani
Al fine di mantenere a fuoco anche gli oggetti a distanze intermedie, i ricercatori del NIST hanno usato una rete neurale per insegnare al software a riconoscere e correggere difetti come sfocatura e aberrazione cromatica negli oggetti che risiedevano a metà strada.
Il team ha testato la sua fotocamera posizionando oggetti di vari colori, forme e dimensioni a distanze diverse in una scena di interesse e applicando la correzione software per generare un'immagine finale a fuoco e priva di aberrazioni sull'intera profondità di campo.
Le metalenti si sono dimostrate efficaci, senza sacrificare la risoluzione dell'immagine. Inoltre, poiché il sistema corregge automaticamente le aberrazioni, ha un'elevata tolleranza agli errori e consente ai ricercatori di usare progetti semplici e facili da fabbricare per produrre le lenti miniaturizzate.