Quanti sono tentati di adattare un obiettivo nato per un certo sistema fotografico a un altro, o pensano di recuperare vecchi obiettivi su un moderno corpo digitale, dovrebbero dare un'occhiata a un'interessante articolo pubblicato su lensrental.com a firma del "solito" Roger Cicala.
Nel corso di alcuni test che coinvolgevano un adattatore, Roger è incappato in un serio problema di nitidezza che, dopo ulteriori indagini, si è rivelato essere imputabile alla copertura in vetro dei sensori.
In sintesi, si tratta di questo: ogni fotocamera protegge il sensore con uno strato di vetro ottico, ma lo spessore di questo vetro non è uguale per tutti i marchi, né per diversi modelli dello stesso marchio. Questo porta, in alcuni casi, a un evidente degrado qualitativo quando si utilizza un'ottica su un sistema molto diverso da quello per cui quell'ottica era stata progettata.
Il degrado qualitativo dipende da diversi fattori. In prima battuta, ovviamente, dipende dalla differenza tra gli spessori dei due sistemi - quello originale e quello di destinazione.
Dipende poi dall'apertura del diaframma: il degrado si osserva fortunatamente solo ad aperture molto elevate, f/2.8 e oltre, e diventa di notevole entità ad aperture ancora più elevate, f/2 e oltre.
Dipende, infine, quanto l'obiettivo è telecentrico, cioè da quanto paralleli tra loro escono i raggi di luce verso il sensore. Nessun obiettivo fotografico è perfettamente telecentrico, ma quanto più ci si avvicina a questa condizione, tanto meno l'obiettivo soffrirà di degrado a causa dello spessore del vetro posto davanti al sensore.
Purtroppo, le due informazioni-chiave, cioè spessore del vetro ottico posto davanti al sensore e telecentrismo dell'ottica, espresso come distanza della pupilla di uscita, non sono normalmente disponibili. È comunque possibile fare alcune considerazioni di carattere generale basate sui dati noti.
La prima è che le reflex più diffuse, Canon e Nikon, utilizzano in molti casi vetri ottici di spessore analogo, nell'intorno dei 2mm. Esistono eccezioni - la D1x, ad esempio, sembra avesse davanti al sensore un vetro ottico di meno di 1mm di spessore. In prima approssimazione, si può comunque assumere 2mm lo spessore più diffuso per le reflex, e questo vale anche per alcune mirrorless Sony NEX. La mirrorless Fujifilm X-Pro1 sembra utilizzare un vetro da 2.5mm di spessore, ed è quindi anch'essa assimilabile alla reflex.
Leica utilizza spessori nell'intorno di 1mm, che sono i più bassi tra le fotocamere commerciali. Le fotocamere Micro 4/3 di Olympus e Panasonic utilizzano invece vetri da circa 4mm di spessore.
Due obiettivi a cui prestare attenzione: lo Zeiss 35mm f/2 Biogon e il Leica-M 28mm f/2.8 ASPH Elmarit.
Riguardo alla distanza della pupilla di uscita, diciamo in generale che i grandangolari presentano tipicamente distanze inferiori rispetto ai teleobiettivi. Anche in questo caso esistono eccezioni: il Canon TS-E 17mm ad esempio supera i 90cm, mentre gli obiettivi a cui si dovrebbe prestare più attenzione tra quelli di un certo interesse sono il Leica M 28mm f/2.8 ASPH Elmarit e il 35mm f/1.4 ASPH Summilux, i due 50mm meno luminosi (f/2.5 Summarit e f/2.0 Summicron), il Voigtlander 15mm f/4.5 Heliar M e gli Zeiss 15mm f/2.8 Biogon, 21mm f/2.8 Biogon, 35mm f/2.0 Biogon e 35mm f/2.8 Biogon. Tutti offrono, peraltro, aperture elevate.
E le ottiche progettate prima dell'avvento del digitale? Beh, tutte loro sono state progettate senza tenere conto dell'esistenza di un vetro posto prima del sensore, il che apre un intero capitolo a sé stante ...
Per quanto detto finora, e in base ai test condotti da Roger Cicala, è lecito attendersi problemi se: si utilizzano ottiche grandangolari di elevata apertura progettate per la pellicola con reflex digitali (dipende dal telecentrismo); si utilizzano vecchie ottiche reflex progettate per la pellicola con mirrorless Micro 4:3; si utilizzano ottiche grandangolari Leica M su digitali.
Se è questo il vostro caso, non date la colpa al convertitore. L'unico rimedio è chiudere il diaframma di un paio di stop.