Possiamo immaginare i sensori delle fotocamere digitali con un insieme di bicchierini (i pixel) che raccolgono i fotoni della luce che ne raggiunge la superficie. A ogni esposizione ogni pixel si 'riempie' (o meno se non viene raggiunto da luce in corrispondenza delle zone buie dell'immagine) di fotoni e poi l'elettronica si occupa di contare il numero di fotoni raccolti. Una delle caratteristiche di ogni sensore è la grandezza di questi bicchierini raccogli-fotoni. Sempre restando all'interno della metafora, più se ne possono raccogliere più è ampia la gamma dinamica del sensore, essendo maggiore il rapporto tra il minimo e il massimo riempimento. Proprio quest'ultimo valore (il massimo riempimento, ossia la saturazione) è quello che determina le bruciature sulle alte luci: come avviene quando si versa l'acqua in un bicchiere, se esso è pieno l'acqua in eccesso esce e non può entrare a far parte del computo finale, andando persa, così se un pixel ha raggiunto la saturazione non è più in grado di raccogliere informazioni e semplicemente restituisce il valore di 'pieno' ossia il bianco.
Le cose però potrebbero cambiare, in quanto un gruppo di ricercatori tedeschi dell'Institut fur Mikroelektronik Stuttgart ha dichiarato di aver sviluppato un sensore CMOS in grado di auto-resettarsi quando giunge a saturazione, tenendo il conto delle volte in cui questo avviene. Tornando alla nostra metafora di apertura, in questo modo è possibile misurare un litro d'acqua anche se si dispone di un bicchiere da 100 millilitri, semplicemente riempiendolo (e svuotandolo) per 10 volte. il sensore inoltre è dotato del classico circuito di conversione analogico/digitale per misurare la quantità di fotoni che hanno colpito il pixel dopo l'ultimo svuotamento. Il gruppo di scienziati ha testato diversi schemi elettronici per i circuito, focalizzandosi su quelli che hanno mostrato un comportamento più lineare su differenti livelli di amplificazione, in modo da poter essere invariante al crescere degli ISO.
Niente più alte luci bruciate da domani? In realtà si tratta di una ricerca che è ancora allo stadio di base e in primo luogo è orientato alle applicazioni industriali. Uno dei ricercatori, Stefan Hirsch, però ha lasciato uno spiraglio aperto e ha dichiato 'Potrebbe essere usato anche in fotografia'. Al momento attuale la circuiteria aggiuntiva occupa una parte importante di ogni singolo pixel, lasciando solo il 13% dei 53 micrometri dell'area destinata sensibile alla luce a ognuno di essi. Ci sono quindi importanti passi in avanti da fare prima di applicazioni finali, magari percorrendo la strada della struttura 'stacked' dei più recenti sensori CMOS fotografici, che utilizza una costruzione su più livelli e sposta la circuiteria sotto lo strato sensibile, massimizzando così l'area deputata alla cattura dei fotoni.